giovedì 4 agosto 2011

Legge sulla rappresentanza, si allarga il consenso. Tra le nuove firme, Fds, Sel e Giorgio Cremaschi

Su Rappresentanza e rappresentatività si allarga, a sinistra, il sostegno alla proposta di legge di iniziativa popolare elaborata dal Forum diritti/Lavoro e presentata da alcune organizzazioni sindacali di base. Ieri al Cnel si è tenuto un convegno ("Vento di democrazia. Una proposta per il lavoro") nel corso del quale ci sono stati diversi pronunciamenti a favore. A partire da Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale Fiom, che ha firmato la proposta di legge. Nel suo intervento Cremaschi ha sottolineato la necessità di unire le forze fra le organizzazioni sindacali che praticano il conflitto.Uguale sostegno alla proposta legge è giunto da Cesare Salvi, FdS, e Alfonso Gianni di Sel.
Tra gli altri interventi, quello del costituzionalista Gianni Ferrara, che ha parlato di sindacato «come uno strumento». E quindi, tenuto a «far verificare i suoi risultati e la sua attività. Su questo si fonda il mandato».
Sono inoltre intervenuti Francesco Bilancia, prof. di diritto costituzionale; Franco Liso, prof. dell'Università la Sapienza di Roma; gli avvocati del Forum Diritti/Lavoro Carlo Guglielmi, che ha introdotto il convegno, Riccardo Faranda e Arturo Salerni; Stefano D'Errico, Coordinatore nazionale Cib-Unicobas; Giovanni Naccari, Presidente dell'Associazione per i Diritti Sociali e di Cittadinanza.


Liberazione 18/06/2011, pag 6

Da Padova a Verona, governo costretto a trattare

Immigrati Riprende vigore la protesta contro la sanatoria-truffa

Francesca Mantovani*
Il dito di Maroni non basta. La diga delle politiche discriminatorie, targate Lega-Pdl, continua a mostrare altre crepe. Sempre più profonde. L'esecutivo e le sue ultime uscite in materia - trattenimento nei Cie da 6 a 18 mesi, ripresa in grande stile delle espulsioni e altro ancora - escono per la prima volta scornate dal conflitto con le mobilitazioni di chi è stato truffato nel 2009 all'interno della cosiddetta "sanatoria colf e badanti". La lotta degli immigrati e degli antirazzisti, in corso da settimane in una mezza dozzina di città - Brescia, Milano, Padova, Verona, Massa Carrara e La Spezia, per citare le principali - ha fatto segnare ieri i primi, significativi risultati positivi.
Le novità più importanti arrivano in queste ore dal Veneto. A Padova, la mobilitazione dei migranti ha subito un'accelerazione nella nottata fra giovedì e venerdì. All'ennesima mancata risposta da parte delle istituzioni, i migranti hanno risposto occupando una gru. Come a novembre, a Brescia, per ottenere diritti sulla terra i migranti decidono di salire in cielo. Il clima, però, rispetto allo scorso autunno, è radicalmente cambiato. A Brescia, 17 giorni di durissima lotta non avevano portato ad alcuna apertura sostanziale da parte del governo, che - anzi - aveva espulso diversi protagonisti di quell'esperienza. Ieri, a Padova, è bastata una notte per riportare a più miti consigli le autorità. I cinque migranti saliti sull'infrastruttura, posta esattamente di fronte agli uffici territoriali del governo, hanno dettato la loro agenda a chi da sotto cercava ancora una volta di ridurre una protesta politica ad una questione di ordine pubblico.
«Senza risposte certe sui permessi e sulle truffe subite - hanno scandito i migranti padovani - da qui non scendiamo». Nella serata la prima apertura, con la promessa di convocare una ventina di persone che, condannate per inottemperanza all'ordine di allontanamento, si erano viste negare il permesso di soggiorno. La risposta arrivata a terra dalla gru dà il senso della determinazione e della rabbia di chi è stufo di aspettare: «Non basta. Stessi diritti per tutti, altrimenti restiamo qui». I migranti si fanno forza della sentenza del Consiglio di Stato, che ha bocciato la circolare Manganelli emanata dal governo nel 2010.
Poi in mattinata, la svolta: il centinaio di migranti euganei truffati dallo Stato verranno convocati tutti per perfezionare le procedure in Prefettura e procedere al successivo ritiro del permesso di soggiorno in Questura. Prima di lasciare la gru, i cinque hanno chiesto e ottenuto che il Prefetto annunciasse l'apertura di un tavolo. Obiettivo: affrontare il tema delle truffe, ossia di tutti quei migranti raggirati da connazionali o da cittadini italiani nell'ambito della sanatoria 2009. Al tavolo ci saranno le amministrazioni cittadine e provinciali, le forze dell'ordine, la curia e i magistrati che si stanno occupando delle inchieste scaturite dalle denunce dei migranti, oltre ai sindacati e all'associazione "Razzismo Stop" che sta seguendo la vicenda in Veneto. «Una realtà - dice Nicola Grigion, di meltingpot.org - che ha dimensioni ancora sconosciute, relazioni neppure troppo celate con la malavita organizzata e una rete di soggetti coinvolti dediti ai raggiri nei confronti degli stranieri».
Segnali positivi arrivano anche da Verona, un tempo territorio tabù per le rivendicazioni dei migranti. Sulla scorta di quanto accaduto a Padova, una trentina di persone ieri ha occupato l'Arena. I turisti in visita al monumento, scalato attraverso l'impalcatura che in questi giorni lo riveste per lavori di restauro, hanno visto sventolare per oltre un'ora lo striscione "sanatoria truffa 2009". Verso mezzogiorno, l'Arena è stata abbandonata. Non prima, però, di aver ricevuto dalla Prefettura scaligera promesse analoghe a quelle della città del Santo. A Milano, invece, l'incontro fra immigrati autorganizzati e Prefettura ha sortito l'ennesimo nulla di fatto, tanto che i migranti hanno deciso di tornare in piazza già nel pomeriggio di ieri, e lo stesso faranno nel week end. A Brescia, infine, prosegue lo sciopero della fame e il presidio permanente 24 ore su 24, nella centrale piazza Rovetta. Questa mattina, in calendario c'è un incontro con i parlamentari bresciani.
*redattrice di Radio Onda d'Urto


Liberazione 18/06/2011, pag 3

Bossi vuole lo scalpo dei migranti, loro rilanciano la lotta. Ovunque

Il nuovo decreto di Maroni Espulsioni coatte e 18 mesi nei Cie

Francesca Mantovani*
Dalla gru in centro storico a Brescia, occupata per 17 giorni, a novembre, Haroon e Jimi sono scesi ormai da diversi mesi. La loro mobilitazione, come quella di altre migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti truffati dalla cosiddetta "sanatoria colf e badanti 2009", invece, non si è mai fermata. Ogni giorno, con più rabbia e determinazione di prima. La loro lotta sembrava aver trovato uno sbocco positivo il 10 maggio scorso, quando il Consiglio di Stato aveva sconfessato il Governo. Per i giudici, la condanna per il cosiddetto reato di clandestinità non poteva impedire ai migranti che avevano presentato domanda di regolarizzazione di ottenere il permesso, come invece affermava la famigerata circolare Manganelli del marzo 2010. Tutto a posto, quindi? No. Il Ministero degli Interni non aveva infatti inviato la circolare interpretativa alle Questure. C'era voluta l'occupazione per quattro giorni del sagrato del Duomo di Brescia per ottenere, a fine maggio, il via libera del Viminale. Ritirato, però, in poche ore: la circolare era stata rimangiata da Maroni, «in attesa di nuove disposizioni». Due settimane dopo, i migranti attendono ancora che lo Stato riconosca i propri errori. Lo stesso Maroni, ieri pomeriggio, ha invece trovato il tempo di presentare in Consiglio dei Ministri un nuovo decreto legge che cerca di reintrodurre in grande stile le espulsioni coatte, triplicando nel contempo la durata delle reclusioni nei Cie: dagli attuali 6 a 18 mesi. Quella che Ferrero chiama la vendetta della Lega contro i migranti: Maroni «nel tentativo di arginare la contestazione della base leghista e di ritrovare il consenso perduto, recupera la vecchia ricetta del capro espiatorio» commenta il segretario del Prc.
Contro l'atteggiamento del Viminale, da un paio di giorni, Haroon e Jimi hanno deciso di attuare una nuova forma di protesta: sciopero della fame e della sete, mentre altre decine di migranti e di antirazzisti bresciani hanno iniziato un presidio permanente 24 ore su 24 in piazza Rovetta, a due passi dalla sede del Comune, che ieri ha autorizzato la presenza in piazza fino al 25 giugno. In calendario ora ci sono incontri, dibattiti, e molto altro ancora. La fiducia non manca, anche se «ogni volta sembra di tornare al punto di partenza», mormora un migrante sotto la canicola del presidio.
In realtà, la mobilitazione è oggi decisamente più forte di un anno fa. Presidi, cortei e lotte si segnalano nelle ultime settimane in una mezza dozzina di città italiane. A Padova, mercoledì i migranti si sono accampati insieme alle Brigate di solidarietà attiva ed alla Rete per l'accoglienza degna sotto la Prefettura. Da lì è poi partito un corteo per le vie cittadine con la promessa di un appuntamento con il vescovo. Ieri pomeriggio, invece, cinque migranti patavini sono saliti su una gru, sempre di fronte alla Prefettura, «per chiedere risposte immediate». A Verona, da nove giorni gli immigrati truffati stazionano ininterrottamente davanti alla chiesa di San Niccolò. A Milano, dopo un presidio mercoledì in piazza Oberdan gli immigrati autorganizzati hanno strappato per questa mattina, venerdì, un incontro in Prefettura. Nel pomeriggio ci sarà un nuovo appuntamento di piazza, a San Babila, mentre nel week end i migranti andranno a chiedere spiegazioni in piazza XXIV maggio, davanti a una sezione della Lega Nord. Infine Massa Carrara, dove ormai da 47 giorni va avanti la mobilitazione iniziata con l'occupazione del Duomo cittadino e proseguita con una presenza costante in piazza. Mercoledì sera un'affollata assemblea cittadina, aperta alle forze politiche e sociali della città, ha aderito al corteo organizzato per questa mattina nella vicina città di La Spezia, sempre sugli stessi temi. Nonostante Maroni, nonostante Pontida, i migranti quindi si organizzano, e puntano a resistere un minuto in più dell'Esecutivo. «Siamo ancora tutti sulla gru - sintetizzano dal presidio di Brescia, quello al momento più affollato -. Siamo tutti clandestini. E siamo stanchi di esserlo. Pretendiamo di poter tornare a tenere i piedi ben saldi sulla terra che ci appartiene».
*Redattrice di Radio Onda d'Urto


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Fincantieri, proposte per un nuovo piano nazionale: oggi dibattito ad Ancona con la Fds

Ritirato il piano lacrime e sengue (chiusura degli stabilimenti di Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, ridimensionamento di Riva Trigoso e taglio di 2.500 posti), la situazione di Fincantieri è tutt'altro che risolta. A due tavoli regionali, uno ligure e uno campano, è stato demandato il compito di cercare soluzioni. Di questo si parlerà oggi ad Ancona, nell'incontro organizzato dalla Fds: "Fincantieri. Un problema per l'Italia: alcune proposte dal basso, a sinistra". All'appuntamento (presso il circolo operaio Germontari, via Colle Verde, 2 - loc. Grazie, ore 15), partecipano esponenti politici del Prc, sindacalisti Fiom, Rsu, docenti universitari, operai Fincantieri. Partecipa Massimo Rossi, portavoce Fds.


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Anche il ministero dalla parte degli operai

Candy «Siamo contrari alla delocalizzazione»

Matteo Gaddi
La lotta dei lavoratori della Bessel Candy di Lecco comincia a sortire qualche risultato. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha duramente bocciato la decisione dell'ing. Fumagalli di chiudere lo stabilimento lombardo di lavastoviglie per spostarne la produzione in Cina. «Il Ministero dello Sviluppo Economico ha ribadito con fermezza la contrarietà a questa strategia di delocalizzazione che avrebbe conseguenze molto negative non solo per i lavoratori ed il territorio direttamente coinvolti, ma per l'intero Paese»: recita così il comunicato dell'incontro del 9 giugno. Con la fissazione di una nuova data, il 27 giugno, per riprendere il confronto e arrivare ad un accordo per il «mantenimento delle attività produttive e dell'innovazione di prodotto secondo i nuovi canoni richiesti dal mercato».
Da qui al 27, quindi, si moltiplicano le iniziative per convincere la proprietà ad abbandonare il vicolo cieco della delocalizzazione: «Questa vicenda dimostra che nella maggior parte dei casi le aziende che investono nei Paesi asiatici non lo fanno per presidiare un possibile mercato di sbocco delle merci prodotte, ma solo per rincorrere il costo del lavoro più basso e, spesso, privo di diritti», spiegano gli operai in presidio. Che nel frattempo sono in produzione per due settimane al mese e le altre due in cassa integrazione; ma questa pesante decurtazione salariale non li ha fatti desistere dal confermare uno sciopero a scacchiera che prevede la sospensione del lavoro per due ore al giorno.
Candy, quindi, produrrebbe in Cina per poi importare gli elettrodomestici da vendere sui mercati occidentali. Costo del lavoro cinese; costo del prodotto occidentale: ecco la ricetta per fare profitti.
In Cina, infatti, non venderebbe una sola lavastoviglie prodotta: altroché internazionalizzazione delle imprese.
L'azienda, al momento, non ha mostrato l'intenzione di desistere; un atteggiamento frutto di scelte compiute negli ultimi anni che l'hanno portata a cessare progressivamente le produzioni di elettrodomestici: frigoriferi (spostati in Repubblica Ceca), lavatrici (in Cina), asciugatrici e altri prodotti. Dal 2005 in azienda è risultata prevalente la logica commerciale rispetto a quella industriale: una scelta imposta da Aldo Fumagalli che ha anche fortemente ridisegnato l'assetto societario nonché le prospettive di (non) sviluppo.
Anche sulle lavastoviglie, il principale prodotto dello stabilimento lecchese, i numeri non tornano: «Candy occupa una fascia di mercato pari a 350.000 pezzi, ma noi attualmente ne produciamo solo 160.000: una parte delle 200.000 mancanti viene già realizzata da un terzista cinese». La continua riduzione dei volumi realizzati nello stabilimento in provincia di Lecco, arrivato a produrre anche 240.000 pezzi, era dovuta proprio a questo: la produzione è stata progressivamente spostata in Cina, a favore di Midea Group, un terzista che lavora anche per altre aziende come Bosch e Siemens.
Il prodotto cinese tuttavia presentava evidenti problemi di qualità ai quali la proprietà Candy ha risposto in modo chiaro: anziché reinternalizzare le produzioni, da un anno ha ceduto anche l'intera progettazione ed il lay-out del prodotto a Midea. Fumagalli sostiene che i costi di produzione non consentono di conseguire risultati economici positivi; «In realtà il Bilancio del Gruppo Candy è in attivo, ma la proprietà guarda solo alla divisione specifica» lamentano i lavoratori. Che aggiungono: «Negli ultimi anni sono mancati progetti e investimenti veri; gli unici che sono stati fatti sono quelli che hanno aumentato la produttività».
Alla Bessel, infatti, la produzione di una lavastoviglie è passata da 75 a 43 minuti. Sono stati fatti investimenti sul prodotto (meno pezzi, minor tempo di montaggio) e di processo (è stata automatizzata una parte della produzione); con l'unica finalità di aumentare la produttività; non per realizzare strategie industriali di lungo periodo. Tutta la parte delle presse è stata automatizzata; si è realizzata la "pulizia dei tempi"; sono aumentati i ritmi di lavoro. Con l'unico risultato di ridurre il personale: «Se nel mio reparto prima eravamo in 15 o 16, adesso lavoriamo in sei» ci dice un operaio. Solo il controllo delle Rsu sull'organizzazione del lavoro e la tenuta dei rulli frizionati (linee di montaggio che vengono attivate dai lavoratori) hanno consentito di contenere i danni, che comunque non sono mancati come testimoniano le malattie professionali che segnano molti lavoratori e lavoratrici.
Ad essere a rischio non sono solo i dipendenti diretti della Bessel, ma anche l'indotto e i fornitori di componenti: «E' vero che una buona parte di questi ormai vengono dall'estero, ma rimangono comunque imprese italiane che ci riforniscono». Anche queste imprese seguiranno la sorte delle lavastoviglie e si sposteranno in Cina? Forse sì, visto che la Regione Lombardia, governata dalla Lega e dal Pdl, continua a finanziare la cosiddetta "internazionalizzazione" delle imprese lombarde. Con la continua moria di attività e di posti di lavoro sul territorio lombardo. Mica male per i leghisti, candidatisi a ruolo di "sindacato del territorio".


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Pisa. Cobas: «Le multe per legge non devono ripianare i bilanci»

Pisa Pubblica amministrazione

Federico Giusti
I Cobas del pubblico impiego si fanno promotori di una campagna per utilizzare i proventi del codice della strada non per i bilanci delle amministrazioni.
La Corte dei Conti è recentemente intervenuta in materia di risorse destinate all'assistenza della polizia municipale
L'articolo 208 del D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285 stabilisce che i proventi delle sanzioni amministrative per le violazioni previste dal codice della strada siano devoluti al Comune o alla Provincia quando l'accertamento è realizzato dalla polizia municipale o della Provincia
Una quota del 50 per cento dei proventi spettanti è destinata ad alcune finalità quali il miglioramento della circolazione sulle strade, il potenziamento della segnaletica stradale, i piani urbani ed extraurbani del traffico, interventi a favore della mobilità ciclistica.
In tempi di tagli agli enti locali, un uso virtuoso di questi soldi avrebbe una doppia valenza sociale e di incremento salariale per il personale.
La denuncia arriva dai Cobas del pubblico Impiego che contestano da una parte le ordinanze dei sindaci come strumento repressivo.
Uno degli epiecntri della protesta è a Pisa dove le ordinanze "antiborsoni" del sindaco Filippeschi hanno creato un clima di tensione con i migranti che sbarcano il lunario vendendo accendini e souvenir. Proprio in questi giorni alcuni commercianti, sostenuti dalla destra, hanno invocato nuovi interventi repressivi "contro i venditori abusivi".
La sentenza della Corte dei Conti (426 del 9 ottobre 2000) ha ammesso la possibilità di destinare questi proventi anche alla previdenza integrativa del personale di polizia municipale, ma - dicono i delegati Cobas - visti i risultati della previdenza integrativa pensiamo sia un'arma a doppio taglio. I rendimenti medi annui rispettivamente del 2,51% (Cometa) e del 2,69% lordi (Fonchim). Il Tfr, invece, ha reso negli stessi anni al netto di tutte le spese anche quelle fiscali più del 3% medio annuo garantendo capitale e un rendimento minimo anno per anno dell'1,5% più il 75% del tasso d'inflazione calcolato dall'Istat. Quindi quale uso dei proventi delle multe? Misure e interventi per accrescere la sicurezza stradale, per migliorare le condizioni lavorative del personale attraverso progetti incentivanti, assunzioni di vigili stagionali, acquisto di mezzi di lavoro più moderni ed efficienti, avvalersi insomma degli strumenti di legge per migliorare le condizioni lavorative del personale della polizia municipale e provinciale.


Liberazione 16/06/2011, pag 11

Lavoratori portuali una rete per battere la privatizzazione

Porti Italia

Matteo Gaddi
Le recenti lotte dei portuali italiani hanno rilanciato l'esigenza di disporre di uno strumento di organizzazione e collegamento delle loro iniziative. Nasce per questo la Rete Nazionale dei Lavoratori Portuali che già al momento della sua costituzione si è data un impegnativo programma di lavoro che sta dentro un obiettivo di carattere generale: il superamento della privatizzazione dei porti italiani e della brutale segmentazione del lavoro nelle catene logistiche.
Ma la Rete non è uno strumento di generica propaganda: i portuali, abituati alla concretezza, si sono dati da subito punti precisi rispetto ai quali organizzare specifiche vertenze.
Ecco quindi che si parla di salario di mancato avviamento, di sicurezza nei Porti, di contratto unico dei lavoratori portuali, di lotta all'autoproduzione, di tariffa unica e di contrasto agli elementi di frammentazione e precarizzazione del ciclo portuale.
Si tratta di titoli e parole d'ordine che non si limitano all'enunciazione del problema, ma che lo analizzano e ne prospettano possibili soluzioni concrete.
Alcune sono a portata di mano, altre da costruire nel tempo. Sul tema della sicurezza, ad esempio, nei principali Porti italiani, come Genova e Trieste, già esistono Protocolli per la Sicurezza, tutti nati a seguito di lotte durissime esplose come conseguenza di eventi drammatici come morti sul lavoro o incidenti gravissimi. Ma il più delle volte i Protocolli sono rimasti sulla carta, i rappresentanti dei lavoratori della sicurezza privati di risorse e di possibilità di operare, le aree dei terminalisti sono tornate ad essere off limits per i controlli.
Saranno proprio i terminalisti i principali interlocutori della Rete: i nuovi padroni dei Porti post-privatizzazione anziché migliorare l'efficienza degli scali non hanno fatto altro che dar vita ad una competizione sfrenata tra Porti (anche quelli situati a pochi km di distanza) e, addirittura, all'interno degli stessi Porti. Una concorrenza giocata tutta attraverso la frammentazione del ciclo portuale, l'esternalizzazioni di funzioni, la compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, la concorrenza al ribasso sulle tariffe e quindi sul costo del lavoro.
Per questo si rende necessario definire obiettivi concreti che contrastino questa concorrenza al ribasso: ad esempio stabilendo una tariffa minima a livello nazionale (al di sotto della quale non è possibile scendere) in grado di remunerare adeguatamente il lavoro (come da Ccnl) e coprire i costi di gestione dei soggetti che svolgono attività e servizi portuali in modo da evitare che vengano continuamente "strangolati" dai terminalisti.
E ancora, per contrastare la frammentazione e segmentazione del ciclo (alla quale corrispondono decine di contratti diversi per lavoratori che sostanzialmente svolgono le stesse mansioni) si rende necessaria l'applicazione del Contratto Unico per tutti i soggetti che operano in Porto, indipendentemente dalla loro funzione e ruolo.
La tutela del lavoro portuale non può che passare attraverso il contrasto alla "autoproduzione" (che produce un duplice effetto negativo: il sovraccarico di lavoro per il personale di bordo delle navi, con conseguenti ricadute sulla sicurezza, la sostituzione dei lavoratori dei porti con evidenti ricadute sull'occupazione) e i tentativi di operare ulteriori frammentazioni del ciclo portuale attraverso la logica di esternalizzazioni e appalti.
Obiettivi precisi, quindi, da raggiungere con una forma organizzativa molto "larga": alla Rete, infatti, possono aderire tutte quelle realtà locali liberamente costituite che si riconoscono negli obiettivi e che si impegnano attivamente a sostenerli.
Una pratica dell'obiettivo, insomma, come nella tradizione concreta dei portuali.


Liberazione 16/06/2011, pag 11